lunedì 23 luglio 2007

una società contadina alla ricerca degli elementi di una coscienza civile che sia frutto di un comune rapporto

Abbiamo parlato fino ad ora quasi esclusivamente della nostra piccola Valle Subequana: tanti amici si sono avvicinati; incoraggiamenti, complimenti ma poca vera partecipazione, come se scambiarsi le opinioni su un giornale fosse molto più difficoltoso che parlare in piazza.
Il guaio è che stiamo perdendo l’abitudine alla piazza, non comunichiamo che per partiti, per slogan, per pregiudizio, si ha quasi paura di esporre le proprie idee autentiche.
Ci sembra tutto poco importante, ma è solo partecipando davvero, con la nostra autenticità, che possiamo contribuire al bene comune, che può funzionare la democrazia.

C’è, invero, consapevolezza di ciò ma avvertiamo una difficoltà reale a interloquire, all’ascolto attivo, a confrontarsi, a partecipare attivamente, difficoltà contagiosa che alimenta anche la nostra pigrizia.
Stiamo diventando una società di saggi cui basta il silenzio? siamo troppo pochi? è la dimensione limitata? sono pochi problemi? sono solo problemi di pochi?
Siamo fatti così, avvertiamo il disagio e tolleriamo bene la sofferenza, forti e gentili in fondo, da abruzzesi doc.

Siamo in buona compagnia: problemi simili esistono anche nelle nostre città e nella nostra regione: sembra non funzionare più nulla, la politica vera è lontana, le istituzioni pure.

Annunci magniloquenti senza fatti concreti, continui giri di valzer, l’inaugurazione di qualche mostra, ma quale consapevolezza ha il cittadino medio dell’attività reale dei vari livelli istituzionali che possa far pensare a sviluppo o a speranza per i nostri giovani?
Poi, quando le cose private vanno male, le colpe sono degli altri, della politica sentita come cosa inaccessibile, che riguarda gli altri.
E questo crea distanza, difficoltà, anche per il politico che evita la gente scontenta, magari si spende per tutti ma non sente gratificazione genuina, non comunica per non sentirsi accusato, incompreso.

Parliamo della comunità, della provincia, della regione: c'è sempre una cappa di diffidenza nel dare fiducia su un agire velato dei vari livelli istituzionali che operano con la consapevolezza di non poter rendere conto che a se stessi, visto che nessuno più li capisce, e quindi di non dover rendere conto che se stessi.
Si è così creata una situazione di irresponsabilità globale in cui ognuno recita a soggetto. Ma nessuno è contento, attori, comparse e pubblico plaudente.

E se provassimo sul serio ad ascoltarci? Semplicemente, senza pregiudizi: io ho il dovere di ascoltare il mio rappresentante politico e di dargli fiducia, il rappresentante politico ha il dovere di ascoltare, leggere le istanze gli vengono rivolte, qualche volta rispondere...
Si, rispondere, comunicare … perché non basta operare in modo più o meno illuminato (chi sta in alto vede più luce, sa e vede di più), la democrazia oltre che responsabilità, è rispetto della forma, trasparenza, libertà di accesso, partecipazione.
Abbiamo oggi un governo centrale che sembra aver capito il valore della partecipazione, della trasparenza, abbiamo governi locali che hanno difficoltà a intendere questo semplice concetto.

La trasparenza genera fiducia, l'ascolto genera fiducia, la condivisione genera forza, azione, sviluppo. E non vi è dubbio che l'intero Abruzzo, per uscire e svegliarsi dal sonno dannunziano di Maja, ha necessità di unirsi e guardare avanti, non di dividersi e litigare come i polli di Renzo.
A cominciare dai vertici istituzionali, che dovrebbero rispondere a tutti, maggioranza, minoranza e minoranze interne: c’era un personaggio aquilano che a chi gli offriva un passaggio in auto per accompagnarlo a casa rispondeva “Grazie,n’altra volta magari, mò non ho tempo, vado di corsa”.
L'unione e lo sviluppo si realizzano cercando di capire e facendo le cose è possibile fare, che è nell'interesse di tutti, risolvendo prima i problemi comuni e chiamando tutti all'azione, non alla guerra.

Proprio recentemente, in un articolo su L’editoriale del 18 luglio 2007, l'economista Piero Carducci, considerando le grosse difficoltà della regione nell’attrarre nuove aziende a causa della concorrenza, parla in questi termini: " Infrastrutture e conoscenza sono il futuro dell’Abruzzo”, ma ciò che si può fare ora, nel breve periodo, imitando le migliori prassi, è la massiccia diffusione della società dell'informazione ".

Qualcosa di simile, molto più semplicemente e grezzamente, c'eravamo permessi di suggerire al presidente della regione prima che accettasse la candidatura (nostra lettera dell'8-3-2005) perché pensiamo che quello che si può fare in una regione devastata come un Abruzzo sia qualcosa a basso costo come la diffusione della società dell'informazione in tutti gli strati della società creando un contesto favorevole allo sviluppo dell'innovazione, che non abbia paura del nuovo, che sia disposto a investire sul nuovo e sul rischio.
Non una risposta, ma qualche segnale in questa direzione ce lo aspettavamo.

Invece sono passati due anni e non si conosce nulla dei processi avviati se non le annunciazioni su fantomatici personaggi che magicamente dovrebbero risolvere problemi che non sono comunque solo tecnici, che possono essere affrontati con risorse che abbiamo in Abruzzo ma comportano coinvolgimento, partecipazione, lavoro, pazienza: ben vengano gli innovatori rivoluzionari, ma conoscere come stanno oggi le cose, i progetti, i work in progress, le realizzazioni effettive riguarda tutti noi, e, in una situazione in cui la comunicazione funzionasse, non avremmo certo bisogno di chiederlo.

Le altre regioni avanzano sia in termini di innovazione che democrazia, sono regioni più aperte di noi, dove si comunica: da noi appare solo un gioco di parole per i politici di turno anche il digital divide che aumenta...
Nessuno che si chieda di cosa stiano parlando..
Qualche sforzo di comunicazione dovremmo farlo tutti, è pericoloso lasciare soli capra e cavoli.

Nessuno vuole giudicare ma è proprio impossibile fare qualcosa affinchè la comunicazione funzioni anche in Abruzzo? Forse, oltre che pretendere buona fede o capacità, dovremmo avere politici che sentano naturalmente di dover rendere conto e su questo impostare le loro fortune.

Sarebbe pretendere troppo allo stato attuale, sarà difficile avere più chiarezza, ma è troppo importante per tutti: è opportuno cominciare davvero dall’ABC, verso tutti, dalle basi della comunicazione come diritto primario la cui espressione può solo migliorare la collettività, un dibattito ampio, serio che i vari Enti preposti (università, fondazioni, scuole, associazioni) potrebbero contribuire ad avviare nei tanti mega eventi che caratterizzano le nostre estemporanee culturali.

Ezio Bianchi
L'Aquila 23 luglio 2007

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