Siamo buoni oggi, mettiamola così.
Le istituzioni aquilane, che conoscono la loro città, consapevoli del privilegio di vivere in un lusso umanistico unico, si sono resi conto che il compito di ricostruirla non era, ne potrebbe mai essere, alla loro portata e in qualche modo hanno atteso che salisse, in Italia, la consapevolezza che la città de L'Aquila è un patrimonio dell'umanità, e forse sarebbe meglio che ad occuparsene sia una parte più ampia di popolo.
Stessa consapevolezza da parte della Protezione Civile ed organi di Governo, ma a nulla è valso invocare oltre cortina.
Tocca comunque a noi aquilani pagare il lusso umanistico nel quale siamo vissuti, se non vogliamo perdere tutta la città: le new town non bastano ma anzi sono di scarsa utilità se non raccordate con una ipotesi di città vivibile a medio termine che consenta di ritrovare la serenità di progettare il futuro.
Convivere con la città terremotata è possibile se si ha la consapevolezza della direzione verso cui ci si sta muovendo: si possono fare sacrifici per i propri figli e nipoti, farli per i pronipoti o per un futuro senza speranza, con grande sofferenza per il presente, sarebbe chiedere troppo a chiunque.
Non si può chiudere le porte come pure fu fatto in passato: si può parlare con le persone, convincerle anche, ma il progetto deve essere noto, chiaro, onesto e perseguibile.
E allora quale L'Aquila per il futuro?
I nostri giovani, si può solo partire dall'attivazione delle energie presenti, che non possono essere disoccupazione e Cassa integrazione o impiego parassitario da basso impero. Ci vuole altro: tocca a tutti rimboccarci le maniche, foss'anche solo per ridimensionarci .
La città è di tutti, tutti devono partecipare, senza far sempre prevalere i poteri forti.
E' possibile? L'occupazione nell'edilizia di ricostruzione può realisticamente avviare la soluzione in un paese dove l'edilizia (imprenditori e professionisti del settore) ha responsabilità enormi non solo dei crolli ma anche nel condizionamento della vita politica cittadina?
Non si è avuto modo di notare consapevolezza in tal senso, non un solo passo indietro. C'è piuttosto la sensazione che per molti il terremoto sia stata una opportunità senza precedenti viste le alleanze in atto che ben giustificano ritardi compiacenti e affitti da vergogna.
E non sembra svilupparsi altra classe imprenditoriale se non di commercio di consumo, comunque autoreferenziale per la città e legato al reddito che la città riceve dallo stato o dall'esterno.
Sarà comunque una città sofferente che vive di contributi statali in attesa di essere spolpata dalla criminalità: non si capisce perchè un padre di famiglia non dovrebbe porsi il problema e cercare per il proprio figlio condizioni di vita possibili nelle città vicine che già avevano qualche chance in più dell'Aquila.
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